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Passione Funghi - Il portale 3BMeteo dedicato ai Funghi

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  • Il fungo che sfida il gelo invernale, Flammulina velutipes
    index@funghi.3bmeteo.comundefined index@funghi.3bmeteo.com

    Quando il gelo trasforma i boschi in un paesaggio immobile e silenzioso e quasi tutte le specie fungine hanno concluso il loro ciclo vitale, Flammulina velutipes compare come un'eccezione luminosa. Conosciuta anche come "fungo dell'olmo" o "agarico vellutato", è uno dei pochi sporocarpi che danno il meglio proprio quando le temperature si abbassano. Per chi si occupa di micologia e per chi ama cercare funghi anche d’inverno, la sua presenza rappresenta una sorpresa incoraggiante, un segno che la vita nel bosco non si ferma mai del tutto. La sua capacità di adattarsi a condizioni estreme lo rende un simbolo di resilienza: fruttifica su legno morto o debilitato, anche quando la superficie è ricoperta di ghiaccio, e riprende a crescere non appena le temperature si alzano leggermente. Il nome scientifico ne descrive con precisione le caratteristiche. Flammulina richiama la "fiamma" (flamma), un'immagine evocata dal colore caldo del cappello che spazia dal giallo dorato all'arancio-bruno, creando un contrasto vivace con l'ambiente invernale. velutipes, dal latino velutinus (vellutato) e pes (piede), descrive invece il gambo scuro e soffice nella parte inferiore, una sorta di "calza" vellutata che la rende inconfondibile.

    Immagine in habitat di Flammulina velutipes, dopo una nevicata nel mese di Dicembre.

    Come è fatta

    Le dimensioni del cappello di Flammulina velutipes variano dai 2 agli 8 cm di diametro. Inizialmente convesso, con il tempo diventa appianato, mostrando un margine regolare e finemente striato. La sua cuticola, di un vivace colore aranciato con tonalità brunastre al centro, è tipicamente viscida in condizioni di umidità, donandogli un aspetto lucido e laccato. L’imenoforo è composto da lamelle rade e ventricose, di colore biancastro nei giovani esemplari, che tendono al giallo con riflessi aranciati a maturazione. La sporata è bianca. Il gambo, lungo 2-6 cm e spesso 0,5-1 cm, è cilindrico, talvolta eccentrico, e si presenta presto cavo e fistoloso. La superficie, in genere in maniera più evidente alla base, è bruno-nerastra e finemente vellutata, caratteristica che gli conferisce il nome scientifico, mentre l’apice si presenta più chiaro, in genere giallo-aranciato. La carne del fungo è tenera nel cappello e più fibrosa nel gambo, di colore giallognolo e immutabile. L’odore è delicato e gradevole; il sapore è fungino, grato; mai amarognolo.

    Flammulina velutipes, fungo dell'olmo, agarico vellutato. Foto di Jaroslav Machacek.
    Dettaglio dello stipite brunastro e vellutato, caratteristico del fungo dell'olmo (J.Machacek)

    Ambienti di crescita

    Flammulina velutipes è un fungo saprotrofo lignicolo, ovvero si sviluppa su legno morto o in decomposizione, sfruttandolo come fonte di nutrimento. La sua predilezione va verso alberi di latifoglie come olmi (Ulmus spp.), pioppi (Populus spp.), frassini (Fraxinus spp.) e salici (Salix spp.). Tuttavia, non è raro trovarlo anche su ceppaie o tronchi di conifere, specialmente in ambienti boschivi misti. Cresce in colonie cespitose, facilmente individuabili su tronchi caduti, ceppaie o rami a terra, spesso in prossimità di corsi d’acqua, dove l’umidità favorisce il suo sviluppo. La sua distribuzione è ampia, abbracciando gran parte delle regioni temperate di Europa, Asia e Nord America.

    Flammulina velutipes, fruttificazione su tronchi di legno depositati a terra.

    Amante del gelo

    Un aspetto straordinario dell’Flammulina velutipes è la sua capacità di fruttificare anche nei rigidi mesi invernali, sfruttando le condizioni climatiche tipiche delle zone con climi freddi e inverni nevosi. Questo fungo riesce a svilupparsi in un range di temperature compreso tra lo zero termico e gli 8 °C, condizioni che per molte altre specie risultano proibitive. Tale adattamento è reso possibile dalla produzione di specifiche proteine antigelo (AFP, Antifreeze Proteins), che svolgono un ruolo fondamentale nel prevenire la formazione di cristalli di ghiaccio all’interno delle sue cellule. Queste proteine riducono il punto di congelamento dei fluidi cellulari, preservando l’integrità dei tessuti della Flammulina velutipes anche in condizioni di gelo prolungato.

    💡
    Le Antifreeze Proteins (AFP) sono polipeptidi prodotti da organismi come pesci, piante, insetti, funghi e batteri, fondamentali per sopravvivere a temperature sottozero. Scoperte inizialmente nei pesci antartici, queste proteine si legano ai cristalli di ghiaccio, impedendone la crescita e la ricristallizzazione, proteggendo così le cellule da danni potenzialmente letali. In funghi come Flammulina velutipes, le AFP permettono la fruttificazione a temperature prossime allo zero, bloccando l'espansione dei cristalli nei tessuti fungini. Queste proteine, specifiche e altamente efficienti, creano un’isteresi termica (differenza tra temperature in cui l'acqua congela e si scioglie) che inibisce il congelamento, agendo a basse concentrazioni senza alterare la pressione osmotica delle cellule.

    L’inverno offre inoltre un vantaggio ecologico significativo per Flammulina velutipes: l’assenza di competizione diretta con altre specie fungine, che cessano di fruttificare alle basse temperature, gli consente di sfruttare in modo esclusivo le risorse del legno in decomposizione. Durante brevi rialzi termici, spesso seguiti da piogge, il micelio accelera le sue attività metaboliche, portando alla rapida formazione di corpi fruttiferi. Questo equilibrio unico tra resistenza al freddo e capacità di crescita opportunistica fa di Flammulina velutipes un esempio affascinante di adattamento evolutivo alle sfide della stagione fredda.

    Flammulina velutipes, fungo glutinoso, agarico vellutato. Foto di Nicolò Oppicelli
    Dettaglio del velo glutinoso che protegge Flammulina velutipes da temperature sotto lo zero.

    Delizia del gelo?

    Dal punto di vista gastronomico, Flammulina velutipes è considerato un buon commestibile, ma deve essere consumato previa cottura, poiché consumata cruda o poco cotta può risultare indigesta. In cucina si utilizza principalmente il cappello, che ha una consistenza tenera, mentre il gambo è generalmente scartato a causa della sua natura fibrosa. Questo fungo si presta a numerose preparazioni, come zuppe e risotti, grazie al suo sapore delicato e fungino, perfetto per i piatti invernali.

    💡
    Nonostante la sua attitudine, i cicli di gelo e disgelo possono compromettere la struttura del fungo, portando a una consistenza più molle e a un deterioramento generale. Questo potrebbe rendere il fungo meno appetibile o più difficile da lavorare in cucina, e pertanto la valutazione oggettiva del raccolto dev'esser sempre scrupolosa. Flammulina velutipes è specie sicura al consumo alimentare, ma qualora fossero cucinati esemplari in cattive condizioni, potrebbero causare disturbi gastrointestinali, come nausea, crampi o diarrea.
    Flammulina velutipes, esemplari ancora turgidi e vividi, dopo la fusione della neve caduta.

    Specie simili e rischi di confusione

    Il genere Flammulina comprende diverse specie, anche se Flammulina velutipes è quella più conosciuta e studiata. Simili per caratteri morfologici e anch’esse commestibili, sebbene meno frequenti, nel territorio italiano si possono trovare: Flammulina fennae (con un cappello dai toni più chiari, tendenti al biancastro), Flammulina elastica (di dimensioni più ridotte e con un gambo meno vellutato), Flammulina ononidis (una specie rara, che cresce principalmente in associazione con residui vegetali di Ononis spinosa) e Flammulina rossica (rara o raramente studiata, e probabilmente più diffusa nelle aree montane del nord Italia). Facendo riferimento generico al nostro agarico vellutato o fungo dell'olmo, Flammulina velutipes può essere grossolanamente scambiata anche con altre specie fungine lignivore, alcune delle quali anche tossiche. In inverno, esemplari coraggiosi dell'agarico zolfino, falso chiodino o Hypholoma fasciculare possono fruttificare e presentarsi con colorazioni del cappello più aranciato cariche, ma non sono mai ricoperte di un velo viscoso traslucido; inoltre il gambo è di colore giallo, le lamelle sono grigio-verdastre e il sapore delle carni è amarognolo. La velenosa mortale Galerina marginata è un fungo di dimensioni più ridotte e dalla consistenza più fragile; presenta un piccolo anello biancastro sul gambo, lamelle e sporata color ocra, odore delle carni farinaceo. La commestibile Kuehneromyces mutabilis, molto simile alla mortale Galerina marginata, può fruttificare fino alle soglie della primavera: rispetto a Flammulina velutipes, il cappello ha tonalità più calde, tendenti al miele, ed è spesso ornato da un velo sottile, ma non traslucido; le lamelle sono biancastre e poi ocracee; il gambo, inoltre, è bruno-giallastro, dotato di un anello e ricoperto da squamette nel terzo inferiore.

    Kuheneromyces mutabilis, una specie abbastanza frequente nella stagione primaverile.

    Enokitake: la sua forma "coltivata"

    Flammulina velutipes non è solo un fungo selvatico affascinante, ma anche una specie largamente coltivata per scopi alimentari. Nella sua versione commerciale, è conosciuta con il nome di "enokitake" ed è particolarmente apprezzata in Giappone, Corea e Cina, dove rappresenta un ingrediente cardine della cucina tradizionale. La forma coltivata (ad oggi, nota anche come Flammulina filiformis) si presenta molto diversa da quella selvatica: gambi sottili, lunghi e bianchi, e cappelli così piccoli da essere quasi impercettibili. La forma caratteristica dell’enokitake è il prodotto di tecniche specifiche di coltivazione che alterano le caratteristiche naturali del fungo, come ad esempio la crescita al buio o con luce minima, che, inibendo la produzione di pigmenti (come i carotenoidi), responsabili della colorazione aranciata del cappello nella forma selvatica, induce la crescita di esemplari completamente bianchi. Inoltre, durante la coltivazione, l’aria viene mantenuta con livelli di CO₂ artificialmente elevati. Questa condizione stimola l’elongazione dei gambi, un fenomeno noto come "etiolazione": l’aumento della CO₂ simula l’ambiente in cui il fungo competerebbe per la luce, spingendolo a crescere verso l’alto alla ricerca di una fonte luminosa. Infine, i funghi vengono coltivati in contenitori stretti, come bottiglie o cilindri, che limitano lo spazio disponibile e favoriscono la crescita lineare dei gambi, evitando che si sviluppino lateralmente o che i cappelli si espandano completamente.

    💡
    Cosa determina queste differenze? Le variazioni morfologiche tra la forma selvatica e quella coltivata dell’enokitake sono il risultato della plasticità fenotipica di Flammulina velutipes. Questo fenomeno permette al fungo di modificare il proprio sviluppo in risposta all’ambiente. In natura, la luce, il libero spazio e la competizione per le risorse determinano l’aspetto robusto e pigmentato della specie. In coltivazione, invece, l’assenza di stimoli esterni e le condizioni artificiali portano alla forma lunga, bianca e delicata dell’enokitake.
    Enokitake, forma coltivata di Flammulina velutipes, ad oggi nota come Flammulina filiformis.
    Uncategorized

  • Funghi e neve: il freddo legame che non t'aspetti
    index@funghi.3bmeteo.comundefined index@funghi.3bmeteo.com
    La neve, spesso percepita come una pausa forzata per la vita del bosco, rappresenta in realtà uno dei fattori più determinanti per la salute del suolo e per la successiva produttività micologica. Il suo accumulo crea un vero scudo termico: limita le escursioni, conserva umidità, rallenta la decomposizione superficiale e stabilizza l’ambiente in cui il micelio continua a vivere e a respirare. Quando il manto si ritira, lascia un terreno idratato, protetto e ricco di gradienti termici favorevoli: è da questo equilibrio che molte specie -in particolare quelle primaverili. trovano la spinta fisiologica per passare dalla crescita silenziosa del micelio alla produzione degli sporofori.

    Grazie alla sua orografia articolata e alla forte eterogeneità climatica, l’Italia offre un quadro nivologico tra i più complessi d’Europa. Le Alpi, che si trovano lungo il margine settentrionale della Penisola, costituiscono la prima barriera contro le correnti atlantiche e intercettano masse d'aria umida e fredda che, risalendo i versanti, originano nevicate spesso abbondanti e persistenti. Tuttavia, la distribuzione della neve non è uniforme: le aree esposte alle correnti occidentali, come il settore centro-occidentale alpino, accumulano più neve rispetto ai settori interni e alle vallate sottovento, mentre le Alpi orientali risentono maggiormente degli afflussi balcanici e della variabilità termo-igrometrica dell'Adriatico. Gli Appennini, pur essendo meno elevati, non sono affatto secondari: la loro estensione longitudinale li espone a configurazioni sinottiche che possono provocare nevicate ingenti, talvolta superiori a quelle delle Alpi, soprattutto quando si verificano situazioni di ritorno freddo da nord-est o quando una depressione mediterranea richiama aria umida dal Tirreno e la solleva rapidamente sui versanti interni. In queste situazioni, l'orografia appenninica amplifica i contrasti termici e favorisce precipitazioni nevose concentrate e molto abbondanti, soprattutto tra l'Appennino centrale e quello meridionale. Questa variabilità nivometrica non è un dato meramente meteorologico, ma incide direttamente sulla fisiologia del suolo, sull'attività del micelio e, in ultima analisi, sulla produttività micologica delle stagioni successive. Un manto nevoso abbondante e duraturo agisce come una coperta isolante che riduce la dispersione termica, limita il congelamento profondo, protegge la lettiera e modula la decomposizione della sostanza organica. Al disgelo, soprattutto se progressivo, l’acqua liberata penetra nel profilo del terreno garantendo un apporto continuo di umidità essenziale per mantenere attivo il micelio anche nei mesi più critici.

    Boletus edulis, dopo una nevicata in tardo autunno, in una faggeta appenninica.

    È proprio da questa combinazione, riserva idrica, isolamento termico e rilascio graduale dell’acqua, che le stagioni successive traggono la loro potenzialità. Le nevicate invernali e la loro dinamica di fusione determinano, infatti, l’avvio di molte fruttificazioni primaverili e influenzano anche la robustezza delle fungaie estive e autunnali: dove l’inverno ha accumulato acqua sufficiente, il suolo mantiene più a lungo la capacità di sostenere l’attività metabolica del micelio, con effetti tangibili sulla quantità e sulla qualità degli sporofori.

    💡
    È importante sottolineare che, oltre alla quantità di neve, la distribuzione temporale delle precipitazioni e le condizioni climatiche post-disgelo giocano un ruolo cruciale nel determinare l'abbondanza e la varietà delle specie fungine presenti in una determinata area. Pertanto, monitorare le condizioni meteorologiche su 3B Meteo e comprendere le dinamiche climatiche locali è essenziale per prevedere e favorire la crescita dei funghi sul territorio italiano.

    Nutrimento e struttura

    Il proverbio contadino "Sotto la neve, pane; sotto la pioggia, fame" trova piena corrispondenza anche nel funzionamento ecologico del regno dei funghi. Il manto nevoso, infatti, non rappresenta solo un ostacolo visivo all'attività del bosco, ma costituisce una vera e propria infrastruttura protettiva che isola il terreno dalle gelate più intense e salvaguarda le delicate reti miceliari. La neve mantiene stabile la temperatura del suolo, impedendo che il freddo penetri in profondità e danneggi le ife, e conserva la lettiera in un ambiente umido e mitigato, evitando stress termici che comprometterebbero la vitalità del micelio. Quando arriva il disgelo, il beneficio raddoppia: l’acqua rilasciata si infiltra lentamente nel terreno, ricaricando le riserve idriche e creando un gradiente di umidità costante, molto diverso dall'irruenza delle piogge invernali che tendono a scorrere in superficie. Questo rilascio graduale permette al micelio di riprendere la sua attività metabolica e di preparare le condizioni necessarie alla fruttificazione futura. In altre parole, sotto la neve non c'è solo "pane" per i campi, ma anche energia e protezione per l'intero Regno dei funghi.

    Boletus pinophilus, fungo porcino nella neve; foto di Nicolò Oppicelli
    Quanto la nevicata precoce, imbianca gli ultimi porcini dell'autunno (Boletus pinophilus)

    Ma la neve non rappresenta solo una riserva idrica: è anche un vettore di nutrienti che l’atmosfera deposita durante tutto l’inverno. Durante l’accumulo nevoso, si inglobano nell’acqua particelle e composti presenti nell’aria, in particolare forme reattive dell’azoto, solfati e tracce minerali, che vengono poi rilasciati gradualmente nel terreno durante la fusione. Questo apporto, noto in letteratura come wet deposition, arricchisce il terreno e stimola l'attività dei microrganismi coinvolti nei processi di decomposizione della materia organica. Queste dinamiche sostengono direttamente il micelio che può agire sia come decompositore della lettiera (fogliame, ramaglie e legno in decomposizione) sia come partner simbiotico nelle micorrize, dove le ife avvolgono o penetrano gli apici radicali, migliorando l'assorbimento di acqua e nutrienti da parte delle piante. L’acqua di disgelo contribuisce inoltre a riorganizzare la struttura fisica del suolo, aumentando la porosità, favorendo la circolazione dell’aria e riducendo la compattazione dovuta ai cicli di gelo e disgelo. Queste condizioni sono fondamentali per la vitalità del micelio e per la crescita delle radici, perché solo in un terreno ben aerato e strutturato i funghi possono sviluppare reti estese e funzionali.

    Sarcoscypha austriaca, un ascomicete invernale che fruttifica sui residui organici di latifoglie.

    Questione di altitudine?

    Dalle colline ai crinali montuosi, ogni fascia altitudinale presenta condizioni climatiche e ambientali uniche, modellando la distribuzione delle specie vegetali e fungine. Se alle basse quote la neve è spesso effimera e si alterna alla pioggia, alle medie e alte quote essa diventa una riserva idrica essenziale, capace di alimentare miceli e piante attraverso un lento rilascio di umidità durante il disgelo.
    Nelle aree di bassa quota, la neve è meno persistente e spesso si alterna a piogge durante l’inverno. Questo crea un ambiente dinamico, caratterizzato da un rapido riscaldamento del terreno al disgelo. La combinazione di umidità residua e temperature miti favorisce la crescita precoce di specie fungine come Marasmius oreades (gambesecche), che sfruttano l’umidità della rugiada e del suolo; e Macrolepiota procera (mazza di tamburo), che si sviluppa su terreni ben drenati e ricchi di materia organica. Anche le latifoglie che popolano queste fasce altitudinali, come querce e castagni, traggono beneficio dall’acqua rilasciata dal disgelo, sostenendo i funghi simbionti micorrizici come Boletus aestivalis e Russula vesca, precoci e particolarmente adattati a queste condizioni.
    Nelle fasce di media quota (sino a 1.400 metri), la neve può persiste più a lungo, formando uno strato isolante che protegge il suolo da gelate profonde. Questo ambiente favorisce la presenza di alberi come faggi, abeti rossi e abeti bianchi, che sviluppano radici superficiali capaci di assorbire l’umidità rilasciata lentamente dal disgelo; per tale motivo, in genere, un buon manto nevoso favorirà la comparsa in estate di funghi simbionti micorrizici di grande interesse, come Boletus edulis e Cantharellus cibarius. Le condizioni climatiche di questa fascia altitudinale favoriscono anche la presenza di caratteristiche specie primaverili, come il fungo dormiente o Hygrophorus marzuolus, capace di emergere non appena il suolo si libera dalla copertura nevosa, approfittando della stabilità idrica mantenuta dalla neve. Alle quote più elevate, le nevicate sono abbondanti e prolungate, spesso formando uno spesso strato che protegge il terreno dalle escursioni termiche estreme. Qui la neve agisce come un serbatoio idrico fondamentale, rilasciando acqua gradualmente con l’avanzare della stagione primaverile. In questo contesto, le specie vegetali dominanti, come larici e pini cembri, sono adattate a brevi finestre vegetative e dipendono fortemente dall’umidità derivante dal disgelo; in tal senso, alcune specie come il boleto del larice, laricino o Suillus grevillei, beneficiano di terreni umidi e ricchi di materia organica, derivante dalla decomposizione vegetale ritardata.

    Funghi da Neve!

    Quando il freddo inizia ad avvolgere boschi e radure e la neve ricopre il paesaggio, si potrebbe pensare che la stagione dei funghi sia giunta al termine. In realtà, alcune specie fungine hanno sviluppato straordinarie capacità di adattamento alle basse temperature, riuscendo non solo a sopravvivere, ma anche a fruttificare in condizioni che per altri organismi sarebbero proibitive. Tra queste spiccano la Flammulina velutipes e il Pleurotus ostreatus, due specie eduli ben rappresentate nel cuore della biodiversità della nostra Penisola.

    Flammulina velutipes: il "fungo dell'inverno"
    Flammulina velutipes, nota come “collibia vellutata” o “pioppino d’inverno” (e, in ambito commerciale, enokitake), è una delle specie più emblematiche della micologia invernale. La sua peculiarità biologica consiste nella capacità di fruttificare proprio nei mesi più freddi, talvolta anche dopo leggere nevicate, quando la maggior parte dei funghi è in fase di quiescenza. Si sviluppa su tronchi e ceppaie di pioppi, salici e altre latifoglie, formando gruppi cespitosi ben riconoscibili per il cappello giallo-aranciato che spicca nel paesaggio spoglio della stagione fredda. È commestibile, previa cottura, e apprezzata per le sue buone qualità organolettiche. La resistenza al gelo, il tratto distintivo della specie, è legata alla presenza, nei suoi tessuti, di proteine antigelo (Antifreeze Proteins, AFP). Queste molecole, documentate in diversi studi micologici e fisiologici, inibiscono la crescita dei cristalli di ghiaccio all’interno delle cellule, impedendo danni meccanici e preservando l’integrità delle membrane anche a temperature inferiori allo zero. Grazie a questo apparato biochimico, Flammulina può continuare la crescita appena sopra il punto di congelamento e riprendere rapidamente lo sviluppo dopo brevi fasi di gelo. Lo scioglimento della neve fornisce poi un ulteriore vantaggio: l’acqua rilasciata mantiene stabile il microambiente e sostiene l’attività metabolica, permettendo ai giovani sporofori di completare la maturazione.

    Flammulina velutipes - foto di Zdenka Kryspínová
    Flammulina velutipes nella sua elegante veste della stagione invernale.

    Pleurotus ostreatus: il gelone del bosco
    Uno dei nomi popolari più diffusi del Pleurotus ostreatus è gelone, un termine che descrive con precisione il suo legame con il freddo e la sorprendente capacità di crescere anche in presenza di leggere nevicate. Questa specie lignicola colonizza tronchi caduti, ceppaie e legno in avanzata decomposizione, trovando il suo ambiente ideale nei boschi di latifoglie e nelle aree umide, dove l’azione del gelo alternato allo scioglimento della neve mantiene un microclima stabile e ricco d’umidità. La neve, più che un ostacolo, diventa una riserva d’acqua che sostiene la sua crescita lenta e continua. Il Pleurotus ostreatus, anche noto commercialmente come “orecchione” o “fungo ostrica”, tollera bene le basse temperature e gli sbalzi termici, riuscendo a mantenere consistenza e qualità per diverse settimane, qualità che lo distinguono da molte specie autunnali più effimere. Questa robustezza fisiologica, unita alla sua capacità di sfruttare substrati legnosi degradati e ambienti poco competitivi durante la stagione fredda, ha contribuito alla sua diffusione globale come specie coltivata. Oggi è infatti uno dei funghi più prodotti e consumati al mondo, apprezzato tanto per la sua versatilità gastronomica quanto per la facilità di coltivazione e resistenza alle condizioni ambientali avverse.

    Pleurotus ostreatus su tronco di pioppo, dopo una abbondante nevicata invernale.

    Neve e funghi in primavera

    La neve rappresenta altresì una risorsa preziosa per molte specie fungine primaverili, grazie alla sua capacità di conservare l’umidità e proteggere il suolo durante l’inverno. Con il disgelo, l’acqua rilasciata gradualmente crea un ambiente perfetto per la fruttificazione di diversi funghi, spesso tra i primi a comparire non appena si entra nel loro range di temperatura ideale allo sviluppo. In tal senso, veri partner dello strato nevoso sono i funghi dormienti o marzuoli, Hygrophorus marzuolus; chiamati così per la loro comparsa precoce, spesso mentre nei boschi sono ancora presenti residui di neve, i dormienti si sviluppano in terreni freschi e umidi, prevalentemente nei boschi di conifere (pino silvestre, abete bianco), sovente frammisti a castagni e faggi, a quote medio-alte; più schivi e rari in altri contesti ambientali. Quest'ottimo fungo commestibile, beneficia del ruolo protettivo e della lenta cessione d’acqua al terreno da parte del manto nevoso, che di fatto funge più da regolatore del microclima che da scudo contro eventuali gelate tardive, poiché il nostro fungo dormiente o marzuolo si sviluppa in condizioni climatiche che, seppur fresche, sono ormai stabilizzate (in genere da febbraio a maggio). Sempre nel contesto primaverile, le spugnole (Morchella spp.), tra i funghi più ricercati in primavera, prosperano in terreni umidi e ricchi di sostanza organica. Lo scioglimento della neve favorisce la loro comparsa nei boschi di frassini, olmi, salici, noccioli e lungo i margini dei torrenti, dove il suolo trattiene l’umidità per un periodo prolungato; sovente sono anticipate dalla comparsa della curiosa Verpa bohemica. Entrambe le specie si dimostrano però particolarmente sensibili all’alternanza tra temperature miti e fresche, tipiche del periodo successivo al disgelo, e condizioni ai limiti sia in un senso, sia verso l'altro, possono inficiarne le fruttificazioni. Particolarmente ricercati e apprezzati sono anche i funghi prugnoli, spinaroli o funghi di San Giorgio, Calocybe gambosa; prediligono fruttificare in zone prative o nelle radure boschive dove il disgelo lascia depositi di umidità nel suolo. Le zone prative con una buona esposizione al sole, ma al contempo protette da venti asciutti, sono particolarmente favorevoli alla crescita primaverile di questa specie: qui, l’acqua rilasciata dal disgelo non evapora rapidamente, ma viene trattenuta dal suolo grazie alla presenza di sostanza organica e apparati radicali che ne migliorano la capacità di assorbimento.

    Hygrophorus marzuolus, foto di Nicolò Oppicelli
    Hygrophorus marzuolus, il fungo edule più rappresentativo del disgelo primaverile.

    E se nevica in Ottobre?

    Negli ultimi anni, le nevicate precoci in ottobre sono diventate eventi rari, limitandosi generalmente alle quote più elevate delle Alpi, solitamente al di sopra dei 1800-2000 metri. Questo cambiamento climatico ha un impatto significativo sulla crescita dei funghi tardivi, come i porcini. Il manto nevoso precoce può interrompere bruscamente la fruttificazione di queste specie, arrestando il loro sviluppo e riducendo le opportunità di nuove raccolte per gli appassionati. I funghi esposti a gelate subiscono danni strutturali a livello cellulare a causa della formazione di cristalli di ghiaccio all’interno dei tessuti. Questo processo provoca la rottura delle pareti cellulari, compromettendo la consistenza e rendendoli molli e acquosi al disgelo. Una volta alterata la loro struttura, i funghi diventano più vulnerabili alla proliferazione di batteri e muffe, accelerando i processi di decomposizione e rendendoli potenzialmente pericolosi per il consumo, analogamente agli alimenti che subiscono cicli di congelamento e scongelamento non controllati; pertanto, è consigliabile evitare la raccolta e il consumo di funghi che mostrano segni di congelamento o deterioramento.

    Boletus edulis congelato, in seguito a una forte nevicata sull'Appennino in Novembre.

    Negli ultimi anni, le nevicate precoci in ottobre sono diventate eventi sempre più sporadici, relegati perlopiù alle quote più elevate delle Alpi, generalmente oltre i 1800-2000 metri, e ai rilievi appenninici al di sopra dei 1500 metri. Secondo i dati elaborati dal progetto dedicato alla biodiversità micologica di 3B Meteo, lo studio delle dinamiche climatiche recenti evidenzia come le precipitazioni nevose autunnali risultino oggi più irregolari, spesso legate a brevi incursioni di aria fredda seguite da repentini rialzi termici. Questo andamento discontinuo riflette gli effetti tangibili del cambiamento climatico, che sta alterando i ritmi naturali del sottobosco e influenzando in modo diretto il ciclo biologico di molte specie fungine. L’impatto di queste trasformazioni è evidente soprattutto nella fruttificazione dei funghi tardivi, come i sanguinelli (Lactarius deliciosus), le specie della famiglia delle Hygrophoraceae e numerose entità da studio, ma l'impatto si riflette anche nello sviluppo dei funghi porcini autunnali, la cui crescita è strettamente legata all’equilibrio tra umidità e temperature moderate. Se da un lato il riscaldamento climatico può prolungare la stagione vegetativa e favorire fruttificazioni tardive, dall’altro la scarsità di neve precoce e le brusche variazioni termiche possono innescare stress idrici nel suolo o improvvisi periodi di gelo, interrompendo il ciclo di crescita. I porcini, che spesso fruttificano fino a novembre nelle aree collinari e montane, risentono particolarmente di queste condizioni instabili: privati del naturale apporto d’acqua precipitativa o sottoposti a gelate improvvise, possono arrestare completamente il loro sviluppo o presentarsi in quantità esigue e di qualità compromessa. E se questo vale per i porcini, il cui corpo fruttifero mostra una certa resistenza alle intemperie, è facile immaginare quanto le specie fungine più delicate possano risentire ancor di più delle attuali condizioni climatiche. Ciò che stiamo osservando oggi lascia presagire che anche i funghi dovranno presto confrontarsi con sfide climatiche sempre più complesse e imprevedibili.

    Porpolomopsis calyptriformis, specie molto sensibile agli sbalzi climatici del tardo autunno.

    Per chi si avventura nei boschi in cerca di funghi, soprattutto nelle aree di alta quota, è fondamentale monitorare attentamente le previsioni meteorologiche fornite da fonti autorevoli come 3B Meteo. Un rapido abbassamento delle temperature seguito da precipitazioni nevose può alterare drasticamente le condizioni del terreno, rendendo più difficile la raccolta e aumentando il rischio di trovare funghi danneggiati dal gelo. La neve, pur rappresentando un elemento essenziale per il ciclo idrico e la biodiversità del sottobosco, può trasformarsi in un limite naturale per la crescita di specie tardive come i porcini, lasciando spazio alle varietà primaverili che beneficeranno dell’umidità accumulata nei mesi freddi.

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