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LEGGETE QUESTA ANALISI DI CHIARA PANNULLO, A MIO PARERE, PERFETTA.

Pianificato Fissato Bloccato Spostato Senza categoria
chiarapannullohamasgaza
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    emama
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    #1

    LEGGETE QUESTA ANALISI DI CHIARA PANNULLO, A MIO PARERE, PERFETTA.

    Negli ultimi giorni la scena internazionale è stata squarciata da un annuncio che ha infranto la narrazione imposta dall’ordine mediatico occidentale: Hamas, movimento islamista che da quasi quarant’anni costituisce una delle strutture più consolidate della Resistenza palestinese, ha dichiarato la propria disponibilità ad accettare - seppure in forma condizionata - il piano di cessate il fuoco proposto da Donald Trump e consacrato dal governo Netanyahu.

    L’evento, nella sua nuda evidenza, non si lascia ridurre a un episodio diplomatico. È un sisma politico che riporta la questione palestinese nel cuore del conflitto mondiale, là dove il capitale e l’imperialismo tentavano di relegarla in una zona d’ombra. Dopo mesi di distruzione, la Resistenza riaffiora non come fantasma del passato, ma come soggetto storico che costringe la geopolitica a guardare il proprio riflesso nelle macerie di Gaza.

    Che Hamas non sia l’unica forza della Resistenza è cosa nota a chi conosce la genealogia della lotta palestinese: dalle Brigate dei Martiri di al-Aqsa al Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, dalle cellule marxiste nate nei campi profughi fino ai movimenti laici e sindacali che hanno attraversato le intifade. Ma oggi, nel vuoto politico generato dal collasso dell’Autorità Nazionale Palestinese e dal tradimento degli Accordi di Oslo, Hamas rimane la voce più strutturata - non per egemonia ideologica, ma per pura necessità materiale. In un contesto di sterminio, sopravvivere significa rappresentare.

    La contraddizione più acuta, rimossa dalle cronache e dai salotti diplomatici, è che lo stesso Israele che oggi dipinge Hamas come incarnazione del male ne favorì la nascita negli anni Ottanta, riconoscendovi un utile strumento per logorare le organizzazioni marxiste e nazionaliste. Il sionismo, come ogni potere coloniale, esercitò la propria astuzia: incoraggiare un soggetto religioso per dividere il fronte politico, depotenziare la possibilità di un blocco socialista internazionalista capace di legarsi ai movimenti del Sud del mondo. L’occupante produce il proprio nemico per poi legittimare la sua distruzione. È la dialettica classica dell’imperialismo: creare, utilizzare, demonizzare, annientare.
    Ma la storia non si lascia dominare in eterno. Oggi, dopo decenni di occupazione e di massacri, Hamas non è più la pedina che Israele pensava di poter controllare: è diventato l’unico corpo politico capace di rappresentare - nel deserto delle istituzioni collaborazioniste - la sopravvivenza di un popolo. La sua matrice religiosa non è l’essenza del conflitto, ma il linguaggio con cui una comunità oppressa ha tradotto la propria materialità. È l’oppressione che genera la forma della resistenza, non la teologia.
    Ridurre tutto questo a "guerra di religione" significa riprodurre la grammatica coloniale. Le guerre di religione non esistono: esistono guerre economiche mascherate da scontro di civiltà. Anche in Palestina, dietro il lessico del fanatismo, si nasconde la verità della terra, del gas, delle rotte commerciali. Gaza non è un altare ma un corridoio strategico del capitale globale, affacciato su giacimenti offshore e su rotte energetiche che collegano il Levante al Mediterraneo. La religione è solo la superficie, la maschera morale che copre il dominio materiale.

    La mossa di Hamas - dire "sì, ma a condizione" - non è una resa ma un sabotaggio politico. È l’irruzione della tattica nella diplomazia. Accettare sotto riserva significa rovesciare il terreno dell’avversario, obbligarlo a mostrarsi per ciò che è: non mediatore, ma carnefice. È l’arte operaia di piegare la macchina del comando contro se stessa. Hamas non cede: entra nella scena del potere per smascherarla, trasforma il negoziato in trincea, la tregua in strumento di contro-potere.

    Il piano Trump-Netanyahu, sostenuto da Egitto, Qatar e Turchia come garanti di facciata, non è un trattato di pace ma un dispositivo di dominio. Il suo impianto è trasparente nella sua brutalità: smilitarizzazione di Gaza, amministrazione "internazionale" - cioè coloniale - e un ritiro israeliano sempre revocabile in nome della "sicurezza nazionale". Persino il tempo della tregua è imperiale: scandito dal fuso orario di Washington, come se anche la sopravvivenza dovesse obbedire al ritmo del capitale.

    Hamas risponde imponendo condizioni: cessazione effettiva e verificabile dei massacri, garanzie di tutela internazionale indipendenti da Israele, calendario vincolante per il ritiro, restituzione dell’amministrazione di Gaza a un organo palestinese autonomo, scambio di prigionieri come atto politico e umanitario. È una partecipazione sotto riserva, un sabotaggio dentro la scena del potere, una mossa di guerriglia diplomatica.

    Dietro il lessico della pace si muove l’unico motore reale dell’imperialismo: l’accumulazione. Gaza è terreno da valorizzare. Sotto le rovine c’è il giacimento del Gaza Marine, bloccato da anni, che attende un equilibrio politico per essere estratto. Israele mira a diventare hub energetico mediterraneo; l’Europa, orfana del gas russo, ha fame di nuove rotte; le major occidentali premono. La tregua - se imposta secondo il dispositivo coloniale - diventa chiave di accesso ai profitti.

    La ricostruzione segue la stessa logica: non rinascita ma speculazione. Ogni edificio distrutto diventa appalto, ogni maceria un contratto. È la legge storica del colonialismo: devastare per appaltare, cancellare per edificare. Trump potrà presentarsi come "uomo della pace" mentre garantisce contratti miliardari a corporation americane e alle monarchie del Golfo. L’Europa, codarda, si prepara a reclamare la propria parte nel mercato della ricostruzione coloniale. Le spiagge di Gaza, ripulite dal sangue, già figurano nei progetti turistici israeliani come futuri resort e waterfront di lusso. Il genocidio non è follia: è premessa urbanistica del profitto.

    Ma il piano è anche geopolitico. Israele lo usa per consolidare la normalizzazione con Arabia Saudita ed Emirati, rafforzando il proprio ruolo di gendarme regionale. Trump lo utilizza per riaffermare la centralità americana nell’economia del caos. L’Europa vi intravede la possibilità di respirare nella strettoia energetica post-Ucraina. Le monarchie del Golfo riversano capitali per guadagnare influenza. Persino la Cina osserva: una Gaza pacificata diventerebbe un nodo delle rotte mediterranee della Belt and Road.

    Nel disegno del capitale globale, il popolo palestinese è un ostacolo materiale: forza-lavoro da disciplinare, residuo umano da controllare, presenza da rimuovere per liberare spazio all’accumulazione. Ma le condizioni poste dalla Resistenza trasformano il negoziato in terreno di conflitto: non una pausa tra due bombardamenti, ma uno spazio di riorganizzazione della soggettività politica.

    Senza condizioni, la tregua è resa e Gaza diventa laboratorio della valorizzazione. Con condizioni, essa diventa spazio di contro-potere, fragile ma reale. Perché le guerre di religione non esistono: esistono guerre per terra, gas e rendita, travestite da conflitti confessionali per ingannare le masse. La religione è linguaggio; la sostanza è il dominio del capitale.

    La tregua messa in scena da Trump e Netanyahu non è pausa umanitaria, ma dispositivo coloniale. È la stessa strategia vista a Baghdad, Kabul, Belgrado: distruggere per costruire, bombardare per appaltare. Washington detta, Tel Aviv massacra, Bruxelles applaude e attende i contratti.

    E l’Italia? L’Italia non è spettatrice innocente. È parte organica del meccanismo. Leonardo, fiore avvelenato dell’industria militare nazionale, fornisce droni, sistemi di puntamento, sorveglianza: frammenti italiani nei cieli che uccidono bambini. Fincantieri mira alle infrastrutture portuali, ENI al gas offshore, le imprese edili e cementiere alle macerie da monetizzare. Tutto in nome della "pace", tutto in nome della "ricostruzione", ma in realtà per accumulare profitto sulle rovine di un popolo.

    Il governo Meloni si è piegato senza esitazione: non ha mai pronunciato la parola "genocidio", ha ripetuto la formula dell’"autodifesa israeliana", ha garantito copertura diplomatica e interessi economici. Non per necessità ma per convenienza: difendere Leonardo, tutelare ENI, assicurare contratti. È l’Italia che si inginocchia non per obbligo ma per tornaconto.

    Così la catena della morte si chiude: Leonardo arma i droni, Fincantieri prepara i porti, ENI scommette sul gas, le imprese edili pianificano la ricostruzione. È la filiera del genocidio che diventa filiera del profitto. Ogni parola sui "diritti umani" viene smentita dai bilanci. Ogni richiamo alla "pace" è un involucro retorico dell’avidità.

    Il genocidio non è devianza - è razionalità del capitale. Non è eccesso - è metodo. Gaza viene devastata perché sotto le sue rovine si cela la rendita. Gli Stati Uniti dirigono, Israele esegue, l’Europa e l’Italia partecipano. Hamas, accettando solo a condizione, tenta di ribaltare la trappola: non resa ma contromossa. È l’ultimo atto di una Resistenza che, pur ferita, ancora indica la via.

    Gli Stati Uniti e Israele parlano di "pace" e intendono rapina. L’Occidente parla di "ricostruzione" e intende speculazione. L’Italia parla di "solidarietà" e intende commesse. Ma la Resistenza, con la sua ostinazione storica, continua a scardinare la messa in scena del potere, costringendo i colonizzatori a mostrarsi per ciò che realmente sono: funzionari del capitale, architetti del dominio, pianificatori scientifici del genocidio. Strati della stessa razionalità economica che trasforma l’annientamento in investimento e la morte in rendita.

    Chiara Pannullo

    #chiaraPannullo
    #hamas
    #gaza

    @attualita@diggita.com @attualita@mastodon.uno

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    • Giorgia Mecojoniundefined
      Giorgia Mecojoni

      @OrionBelt provarce nun serve. Bea è 100% fija de su padre e tanto ce basta 😉

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      quinta - Stefano Quintarelli

      se posso consigliare una cosa da leggere oggi...
      https://www.paradoxaforum.com/il-culto-dellia/#more-4683

      (una versione sintetica è uscita su affari e finanza)

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    • Oblomovundefined
      Oblomov

      @Paradox I can see Ōtomo drawing something like this 8-D

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      Kenobit

      @AleF2050 Grazie <3

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    • Kenobitundefined
      Kenobit

      @Giovane_MetallaroTM Di persona, però!

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      Kenobit

      @kanedatux TVB

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    • Kenobitundefined
      Kenobit

      @alexnero974 Uscirà con AgenziaX, a mio avviso una delle realtà più belle della controcultura.

      Sono fierissimo di uscire con loro.

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    • Francy 🌻undefined
      Francy 🌻

      @max @ElManga
      Ti diciamo dove 😉

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    @pierobosio@soc.bosio.info
    Avvio NodeBB v4.6.0 Contributors
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    • Thousand #Madleens to Gaza FRundefined

      20.09.25 #Gaza city🚨 🇵🇸 Des gazaouis qui tentent d'évacuer sont bombardés par des frappes aériennes israéliennes alors qu'ils quittent la ville de Gaza

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    • Solène de Montmarin 🇲🇲💚🇵🇸undefined

      #GazaNadav Lapid, cinéaste : "Il faut que les Israéliens se voient sous une lumière crue et cruelle"https://www.radiofrance.fr/franceculture/podcasts/les-midis-de-culture/le-cineaste-israelien-nadav-lapid-pour-le-film-oui-7858111#Palestine #StopGenocide

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    • earthlingundefined

      Witnessing a systematic, unfolding terror in Gaza CityThey have to run out of their homes in the middle of the night, with nothing other than the clothes that they’re wearing, seeking shelter toward the coast of Gaza City.

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    • Joyundefined

      Hi folks.

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