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Software devs: what's the good GUI library or framework or language with excellent 2D support?

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Gli ultimi otto messaggi ricevuti dalla Federazione
  • I turned on the telemetry of Firefox to show Mozilla what features I don't use.

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  • Si traduce in italiano "social graph"? Da quanto ho capito è l'interfaccia grafica che fa vedere le interazioni social di un profilo quindi follower e quant'altro. Per tradurlo, farlo capire a chi di queste cose non sa niente.

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  • @strypey It gave us a great meme.

    @JohnMastodon @Stomata

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  • Ma chi sarà mai? 😂

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  • “brescia schifa i fascisti”: in migliaia alla manifestazione antifascista. corteo da piazza loggia
    @anarchia
    “Brescia schifa i fascisti”. Sabato 13 dicembre 2025 mobilitazione antifascista e antirazzista con almeno 3.500 persone in totale, scese in piazza contro la calata dell’estrema destra fascista e xenofoba di nord e centro Italia (presenti i

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  • Sottovalutare la sicurezza informatica Oggi. Parliamo di “tanto chi vuoi che mi attacca?”

    La cultura del “tanto chi vuoi che mi attacchi?” gira ancora, testarda.

    Non è uno slogan, è proprio un modo di pensare. Una specie di alibi mentale che permette di rimandare, di non guardare troppo da vicino certi rischi. Succede spesso nelle aziende piccole, quelle dove tutti fanno un po’ di tutto e la sicurezza resta una cosa vaga, sullo sfondo.

    Chi osserva queste dinamiche lo vede chiaramente: la sottovalutazione del rischio non è un problema teorico, è pratica quotidiana.

    Non nasce da arroganza pura, più da stanchezza, da abitudine, da una fiducia mal riposta nel fatto che “siamo piccoli”. Una frase che torna, uguale, detta con convinzione. E che però non regge.

    Perché “non siamo un obiettivo” non funziona


    Nelle PMI l’idea è diffusa: nessun dato interessante, nessun nome famoso, nessuna ragione per attirare attenzioni. È una convinzione comoda e diciamola tutta, anche molto rassicurante. Permette di pensare che il problema riguardi altri, quelli grandi, quelli sotto i riflettori. Qui no, qui si lavora e basta.

    Il punto è che gli attacchi non funzionano più così, se mai lo hanno fatto.

    Non c’è qualcuno che guarda una singola azienda e decide se vale la pena. C’è automazione, c’è scanning continuo, c’è un rumore di fondo costante fatto di tentativi automatici. Non serve essere speciali. Basta essere lì.

    Ma quante sono le piccole imprese che sono rimaste vittima di un ransomware e sono presenti su questo sito? Migliaia.

    Attacchi automatici, non personali


    Chi analizza gli incidenti lo ripete da anni, forse con meno pazienza di prima: gran parte degli attacchi è opportunistica. Sistemi che scandagliano la rete senza sosta, alla ricerca di una porta aperta, una configurazione sbagliata, una password debole. Non chiedono chi sei. Provano e basta.

    In questo scenario, la dimensione conta poco. Anzi, a volte conta al contrario.

    Le realtà più piccole sono spesso meno preparate, meno aggiornate, meno protette. Non per negligenza cattiva, ma per mancanza di tempo, risorse, attenzione. Ed è proprio lì che l’automazione trova spazio.

    E se c’è un ransomware di mezzo? la PMI paga subito!

    Il problema quindi è uno solo. Essere fortunati di non andarci di mezzo. Ma per una Amministratore delegato di una media impresa, costruita con il sacrificio e con la passione di anni di duro lavoro. E’ con la fortuna che vogliamo giocare?

    Quando la teoria diventa danno concreto


    Ci sono casi reali, documentati, di piccole aziende colpite duramente e ci sono casi documentati di aziende che hanno fallito per un attacco informatico.

    Non per attività sensibili o segreti industriali, ma perché impreparate. Sistemi bloccati, dati irrecuperabili, operatività ferma. Il tipo di danno che, per una PMI, pesa molto più che per una grande struttura. Volete vedere cosa succede veramente?

    Abbiamo anche realizzato un fumetto su questo, il secondo episodio della nostra serie a fumetti BETTI-RHC dal titolo “Zero Decrypt” dove raccontiamo proprio questa storia. Un attacco ransomware ad una piccola impresa. E questa storia si ripete ogni giorno, nel silenzio assordante della stampa che pensa solo ai pesci “grandi” e non ai piccoli.

    Chi racconta questi episodi nota sempre lo stesso dettaglio, quasi banale: nessuno pensava potesse succedere. Nessun piano, nessuna procedura, nessuna reazione pronta. Solo sorpresa. E poi il conto, che arriva sempre in un secondo momento.

    Il costo della sottovalutazione


    Il problema non è solo l’attacco in sé, ma tutto quello che viene prima. La convinzione che il rischio sia remoto porta a rimandare aggiornamenti, a ignorare segnali, a trattare la sicurezza come un fastidio. Qualcosa che ruba tempo al lavoro vero. Un pensiero laterale, inutile.

    Eppure è proprio questa leggerezza a trasformare un evento comune in un disastro. Perché l’attacco, in molti casi, è banale. Quello che manca è la preparazione. E senza preparazione, anche una cosa semplice diventa ingestibile.

    La cultura del “chi vuoi che mi attacchi” resiste perché è facile.

    Non chiede sforzo, non chiede cambiamenti. È una frase che chiude la discussione, che permette di passare ad altro. In fondo rassicura tutti, anche chi la dice.

    Ma chi guarda i numeri, gli incidenti, le dinamiche reali, lo sa: non è una strategia. È solo una speranza. E sperare, quando si parla di sicurezza, raramente è una buona idea. Anche se suona umana, comprensibile. Fin troppo.

    L'articolo Sottovalutare la sicurezza informatica Oggi. Parliamo di “tanto chi vuoi che mi attacca?” proviene da Red Hot Cyber.

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  • Sito del fiume brasiliano… PRRRRR!

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