Seppie Killer
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Foto sopra: Fabrizio Frongia con un serra di 1,7 chili, pescato a metà settembre dalla spiaggia di Santa Margherita di Pula. La cattura è arrivata a notte fonda, in coincidenza col picco di alta marea
L’abbiamo già detto altre volte su queste pagine, la pesca al serra dalla spiaggia solo apparentemente è una tecnica semplice. Il Pomatomus saltatrix non cade più facile preda dei nostri bocconi, come avveniva in passato. È diventato un predatore smaliziato che fiuta l’inganno se l’esca non è presentata nel modo più naturale possibile. La taglia delle catture è diminuita notevolmente e questo è ben documentato da migliaia di foto scattate da centinaia di pescatori. Una cattura sopra i due chili è considerata di pregio e sono tantissime quelle che non superano il chilo. A rendere tutto ancor più difficile ci si mettono altri abitanti del mare, anche loro attratti dalla stessa esca e capaci di spolparla prima che questa attiri il predatore dai denti affilati. Soprattutto nel periodo da inizio ottobre a metà novembre, quando ancora la temperatura dell’acqua non subisce un vistoso calo termico, il sotto costa è popolato da granchi, seppie e dai primi calamari. La loro presenza non si palesa fintantoché non si recupera una canna per controllare l’esca. Il loro attacco non è quasi mai segnalato dal movimento della punta della canna. E la brutta sorpresa, se non si controllano le canne con la giusta frequenza scoraggia perché si inizia a pensare a tutto il tempo che si è perso lasciando in acqua un finale senza nessuna esca attaccata.
Fabrizio intento a lanciare un trancio di muggine, durante uno stupendo tramonto, nella spiaggia di Pesaria, a Oristano. Chi è l’assassino? - Si può tentare però di capire subito chi sia “il colpevole”. I granchi il più delle volte concentrano l’azione sugli ami adagiati sul fondo; molto spesso non si limitano a mangiare l’esca e tagliano la lenza del finale. Nel caso della pesca al serra però, la probabilità di disturbo da parte dei crostacei diminuisce di molto. Infatti l’esca che si usa abitualmente in questa pesca è il trancio (per lo più di muggine) e nella preparazione del tranello, all’interno si nasconde un pezzetto di polistirolo (o un galleggiante similare) che fa fluttuare l’esca ben lontano dal fondo. Ok, capita che i granchi si prodighino nello stile alpino e arrivino a rovinare anche i braccioli alti, ma succede molto di rado. I calamari sono degli “assassini” incauti. Attaccano il trancio in modo violento, tanto da essere segnalati dal movimento della canna. Non ripuliscono la scena del delitto e lasciano sul trancio l’inconfondibile sagoma del loro morso, netto e non più ampio di un centimetro. La loro presenza, seppur di disturbo, è facilmente rilevabile e comunque la loro azione si limita a rovinare l’inganno, senza eliminarlo del tutto. Il vero nemico del pescatore è la seppia. Subdola e accorta si avvicina lentamente al trancio, lo circonda con i suoi tentacoli e lo succhia completamente; in pochi minuti l’esca scompare e rimangono solo gli ami, lucidi e brillanti. La sua presenza, se siamo fortunati a recuperare l’esca quando ancora la seppia si sta abbuffando, si manifesta con una trazione costante che rende il recupero pesante. Se questo è costante e lento la seppia rimane attaccata quasi sino a riva e quindi riusciamo a individuare con certezza il nostro rivale.
L’autore con una cattura di quasi 3 chili. L’esca vincente è stata “confezionata” sfilettando un’occhiata pescata poco prima. Disporre di esche freschissime aumenta la probabilità di attacco da parte del predatore. Veloci e organizzati - Adesso conosciamo il volto del nemico. Ma se il nostro avversario è la seppia la partita diventa in salita, con esito che sembra volgere alla disfatta. Ad ascoltare i racconti dei pescatori in queste circostanze, sembra di sentire un disco rotto che ripete sempre la stessa musica stonata: “Sono dovuto andar via, era pieno di seppie, mi hanno ripulito almeno una decina di calamenti e alla fine non avevo più materia prima per fare i tranci. Un disastro!”. Tale è la difficoltà che s’incontra in queste circostanze, che si arriva a congetture che hanno però basi poco credibili: “Quando ci sono le seppie non ci sono loro (i serra)”. Oppure “con il mare piatto in questo periodo è meglio non cercare i serra, tanto ci sono le seppie”. Tutte congetture che sono frutto più della pigrizia che di una vera prova inconfutabile. Ok, la presenza di più predatori che si contendono lo stesso cibo non facilita la nostra azione di pesca. Ma se ci accorgiamo che i tranci sono bersaglio dei cefalopodi, abbiamo ancora una possibile soluzione: cambiare strategia, aumentando di molto la frequenza del controllo delle esche. Per far ciò è necessario diminuire il numero delle canne in acqua, con un massimo di 3 inganni contemporaneamente in pesca.
Matteo Piras, esperto conoscitore di questa tecnica, con un serra di Buggerru. Al controllo di una canna segue il lancio e il controllo della successiva e poi della terza. In tutto, un ciclo non dura più di 20, 30 minuti. In questo modo si riduce di molto il tempo nel quale il finale, se attaccato dalle seppie, rimane in acqua inutilmente. Esche fresche attirano maggiormente i serra (se sono nei paraggi). Per attuare questa strategia dobbiamo sovrastimare la quantità di esca necessaria. Ma la materia prima, i muggini, si trovano quasi sempre a buon prezzo in pescheria. Se poi, a fine pescata ci ritroviamo con esche inutilizzate, queste possono essere conservate tranquillamente nel congelatore, pronte per l’uscita successiva. Questa strategia rende la ricerca del serra più dinamica, lontana dallo stereotipo che si ha di questa tecnica e cioè per pigri e svogliati. Le seppie sono avversari formidabili, ma se riusciamo ad anticipare le loro intenzioni la ricerca del serra è ancora possibile.
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Foto sopra: Fabrizio Frongia con un serra di 1,7 chili, pescato a metà settembre dalla spiaggia di Santa Margherita di Pula. La cattura è arrivata a notte fonda, in coincidenza col picco di alta marea
L’abbiamo già detto altre volte su queste pagine, la pesca al serra dalla spiaggia solo apparentemente è una tecnica semplice. Il Pomatomus saltatrix non cade più facile preda dei nostri bocconi, come avveniva in passato. È diventato un predatore smaliziato che fiuta l’inganno se l’esca non è presentata nel modo più naturale possibile. La taglia delle catture è diminuita notevolmente e questo è ben documentato da migliaia di foto scattate da centinaia di pescatori. Una cattura sopra i due chili è considerata di pregio e sono tantissime quelle che non superano il chilo. A rendere tutto ancor più difficile ci si mettono altri abitanti del mare, anche loro attratti dalla stessa esca e capaci di spolparla prima che questa attiri il predatore dai denti affilati. Soprattutto nel periodo da inizio ottobre a metà novembre, quando ancora la temperatura dell’acqua non subisce un vistoso calo termico, il sotto costa è popolato da granchi, seppie e dai primi calamari. La loro presenza non si palesa fintantoché non si recupera una canna per controllare l’esca. Il loro attacco non è quasi mai segnalato dal movimento della punta della canna. E la brutta sorpresa, se non si controllano le canne con la giusta frequenza scoraggia perché si inizia a pensare a tutto il tempo che si è perso lasciando in acqua un finale senza nessuna esca attaccata.
Fabrizio intento a lanciare un trancio di muggine, durante uno stupendo tramonto, nella spiaggia di Pesaria, a Oristano. Chi è l’assassino? - Si può tentare però di capire subito chi sia “il colpevole”. I granchi il più delle volte concentrano l’azione sugli ami adagiati sul fondo; molto spesso non si limitano a mangiare l’esca e tagliano la lenza del finale. Nel caso della pesca al serra però, la probabilità di disturbo da parte dei crostacei diminuisce di molto. Infatti l’esca che si usa abitualmente in questa pesca è il trancio (per lo più di muggine) e nella preparazione del tranello, all’interno si nasconde un pezzetto di polistirolo (o un galleggiante similare) che fa fluttuare l’esca ben lontano dal fondo. Ok, capita che i granchi si prodighino nello stile alpino e arrivino a rovinare anche i braccioli alti, ma succede molto di rado. I calamari sono degli “assassini” incauti. Attaccano il trancio in modo violento, tanto da essere segnalati dal movimento della canna. Non ripuliscono la scena del delitto e lasciano sul trancio l’inconfondibile sagoma del loro morso, netto e non più ampio di un centimetro. La loro presenza, seppur di disturbo, è facilmente rilevabile e comunque la loro azione si limita a rovinare l’inganno, senza eliminarlo del tutto. Il vero nemico del pescatore è la seppia. Subdola e accorta si avvicina lentamente al trancio, lo circonda con i suoi tentacoli e lo succhia completamente; in pochi minuti l’esca scompare e rimangono solo gli ami, lucidi e brillanti. La sua presenza, se siamo fortunati a recuperare l’esca quando ancora la seppia si sta abbuffando, si manifesta con una trazione costante che rende il recupero pesante. Se questo è costante e lento la seppia rimane attaccata quasi sino a riva e quindi riusciamo a individuare con certezza il nostro rivale.
L’autore con una cattura di quasi 3 chili. L’esca vincente è stata “confezionata” sfilettando un’occhiata pescata poco prima. Disporre di esche freschissime aumenta la probabilità di attacco da parte del predatore. Veloci e organizzati - Adesso conosciamo il volto del nemico. Ma se il nostro avversario è la seppia la partita diventa in salita, con esito che sembra volgere alla disfatta. Ad ascoltare i racconti dei pescatori in queste circostanze, sembra di sentire un disco rotto che ripete sempre la stessa musica stonata: “Sono dovuto andar via, era pieno di seppie, mi hanno ripulito almeno una decina di calamenti e alla fine non avevo più materia prima per fare i tranci. Un disastro!”. Tale è la difficoltà che s’incontra in queste circostanze, che si arriva a congetture che hanno però basi poco credibili: “Quando ci sono le seppie non ci sono loro (i serra)”. Oppure “con il mare piatto in questo periodo è meglio non cercare i serra, tanto ci sono le seppie”. Tutte congetture che sono frutto più della pigrizia che di una vera prova inconfutabile. Ok, la presenza di più predatori che si contendono lo stesso cibo non facilita la nostra azione di pesca. Ma se ci accorgiamo che i tranci sono bersaglio dei cefalopodi, abbiamo ancora una possibile soluzione: cambiare strategia, aumentando di molto la frequenza del controllo delle esche. Per far ciò è necessario diminuire il numero delle canne in acqua, con un massimo di 3 inganni contemporaneamente in pesca.
Matteo Piras, esperto conoscitore di questa tecnica, con un serra di Buggerru. Al controllo di una canna segue il lancio e il controllo della successiva e poi della terza. In tutto, un ciclo non dura più di 20, 30 minuti. In questo modo si riduce di molto il tempo nel quale il finale, se attaccato dalle seppie, rimane in acqua inutilmente. Esche fresche attirano maggiormente i serra (se sono nei paraggi). Per attuare questa strategia dobbiamo sovrastimare la quantità di esca necessaria. Ma la materia prima, i muggini, si trovano quasi sempre a buon prezzo in pescheria. Se poi, a fine pescata ci ritroviamo con esche inutilizzate, queste possono essere conservate tranquillamente nel congelatore, pronte per l’uscita successiva. Questa strategia rende la ricerca del serra più dinamica, lontana dallo stereotipo che si ha di questa tecnica e cioè per pigri e svogliati. Le seppie sono avversari formidabili, ma se riusciamo ad anticipare le loro intenzioni la ricerca del serra è ancora possibile.
@index @NickZander tu ne hai mai vista una di Seppia Killer?