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Alfredo Facchini BREVI CONSIDERAZIONI SULLA MORTE DI CHARLIE KIRKFaccio mie le parole di Ava Raine: “Se vuoi che le persone ti dicano parole gentili quando te ne vai, dovresti dire parole gentili mentre sei in vita”

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  • Alfredo Facchini

    BREVI CONSIDERAZIONI SULLA MORTE DI CHARLIE KIRK

    Faccio mie le parole di Ava Raine: “Se vuoi che le persone ti dicano parole gentili quando te ne vai, dovresti dire parole gentili mentre sei in vita”.

    E Charlie Kirk, in vita, è stato tutt’altro che gentile: campione di razzismo, omofobia, islamofobia; acceso antiabortista e convinto sostenitore del sionismo e dell’apartheid israeliano. Non scherziamo. La memoria, in questo caso, serve a smascherare, non a ripulire.

    La fine che ha fatto riguarda solo il suo mondo: un universo malato di armi e sproloqui nazistoidi. È lo specchio del mondo che ha costruito. Se lo santifichi, sei come lui.

    Che sia chiaro: questo non significa che meritasse una pallottola. L’eliminazione fisica, in questo preciso momento storico, è sempre più appannaggio dei poteri. Sono gli Stati a praticarla, apertamente o nell’ombra: basta guardare alla Palestina. Qui la morte è seriale, pianificata, industriale. Non c’è simmetria possibile: la violenza organizzata, sistematica e impunita appartiene ai dominanti. Ricordarlo è fondamentale per non cadere nella trappola della falsa equivalenza.

    Non è la “giustizia fai da te”, né il gesto isolato di singoli a segnare l’epoca: è la violenza organizzata degli Stati, degli eserciti, delle polizie, dei servizi segreti. La pallottola che uccide un singolo non è paragonabile all’apparato militare che devasta interi popoli. Una morte individuale non sposta i rapporti di forza: è solo una parentesi.

    Ma il punto non è Charlie Kirk. Il punto è la narrazione che si costruisce intorno a una morte così. Il mainstream corre subito a sterilizzare le contraddizioni, addomesticare il dibattito. Mentre la destra fa la destra con le sue farneticazioni. Si riposiziona nella parte “aggredita”, quindi da difendere.

    Il rischio vero non è il singolo proiettile, è il racconto che lo segue: che giustifica nuove strette repressive, che alimenta la falsa equivalenza tra chi opprime e chi resiste.

    La vera battaglia è qui: smontare la retorica, fare luce sugli interessi, svelare la trama che trasforma un fanatico in un martire. Non cadere nella trappola è un dovere politico.




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